COMUNICATO STAMPA
del 4 settembre 2025

La “RETE ZEROPFAS ITALIA” SI ORGANIZZA ED ESEGUE ANALISI INDIPENDENTI IN VARIE ZONE D’ITALIA E CHIEDE ALLE REGIONI CHE PONGANO LIMITI DI SICUREZZA ALLE EMISSIONI INDUSTRIALI

(Articolo 101, comma 2, del Dlgs 152/2006)

Pfas: cosa sono e conseguenze per la salute e l’ambiente.

I Pfas sono sostanze poli e perfluoro alchiliche formate da catene di atomi di carbonio in cui gli atomi di idrogeno sono stati sostituiti, totalmente o parzialmente, da atomi di fluoro. Il problema serio è che questi composti, purtroppo, possono impiegare anche più di mille anni per degradarsi, tanto che si sono guadagnati l’appellativo di “inquinanti eterni”. Inoltre i Pfas, si diffondono molto rapidamente nell’acqua, nell’aria e nel suolo entrando nella catena alimentare e quindi negli organismi umani, animali e vegetali e persino nel latte materno e nel sangue. L’accumulo dei Pfas nell’organismo umano può determinare effetti tossici correlati a patologie neonatali come malformazioni del sistema nervoso, anomalie cromosomiche e del sistema urinario, diabete gestazionale, aumentato rischio di malattie cardio vascolari, inoltre sono interferenti endocrini e possono provocare cancro alla tiroide, al fegato e ai testicoli. A causa di tutto ciò alcuni sono già stati classificati cancerogeni dallo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro).

La Rete Zero Pfas Italia e l’impegno del movimento.

Nel tempo è cresciuto il livello di attenzione dei media circa i Pfas. Lentamente, ma progressivamente questa parola sta entrando nel lessico collettivo e le cittadine ed i cittadini, cominciano ad associarla ad una entità chimica pervasiva e pericolosa avente la capacità di infiltrarsi e stabilirsi ovunque, rendendo pressoché impossibile la sua rimozione. A questo cambio di passo ha contribuito anche l’incessante e capillare attività di sensibilizzazione svolta dalle molte associazioni e comitati che si sono organizzati in una struttura denominata Rete Zero Pfas Italia (Dicasi Rete) https://www.zeropfas-italia.org. Una Rete che ha cominciato a radicarsi e ad operare anche in altre regioni diverse dal Veneto in cui il problema dei Pfas si è palesato per primo in tutta la sua gravità.

A rendere evidente la pervasività di queste sostanze chimiche oltre i confini del Veneto è stata Greenpeace che tra il 2024 e il 2025 ha realizzato due indagini analitiche indipendenti, certificate da laboratori accreditati.

La prima [consultabile qui] è stata condotta nelle aree prossime ai principali Distretti industriali della Toscana (Tessile, conciario, cartario, florovivaistico).

La seconda invece [consultabile qui] è stata condotta in tutta Italia e Greenpeace ha rilevato la contaminazione del 79% dei campioni di acqua potabile prelevata dalle fontane, seppur all’interno dei limiti di legge.

La Rete Zero PFAS Italia si è attivata e ha realizzato anch’essa analisi indipendenti in varie regioni.

In Toscana ben 46 prelievi di acque i cui risultati sono stati rappresentati in una mappa messa a disposizione di tutti i cittadini.

Le associazioni ed i comitati (di cittadini) facenti parte dalla Rete, a fronte di quella che appariva una situazione preoccupante e data l’inerzia delle istituzioni, si sono preoccupati ed organizzandosi in maniera autonoma ed autofinanziata, hanno prelevato negli ultimi mesi campioni di acque potabili e di superficie che sono poi stati analizzati in un laboratorio certificato da Accredia.

– Le analisi sono state effettuate in Veneto, Liguria, Lombardia, Abruzzo, Toscana. Nelle regioni del nord Italia la Rete ha realizzato prevalentemente campionamenti sulle acque potabili. I Pfas in varia misura sono stati riscontrati nella quasi totalità dei campioni. I (vari) relativi rappresentanti della Rete hanno scritto agli organi istituzionali competenti e sono scattate le controanalisi.

– Le associazioni ed i comitati della Toscana coordinandosi alla Rete, hanno svolto alcuni prelievi sull’acqua potabile (di privati cittadini erogata dai gestori idrici, da fontanelli, acqua in bottiglia), approfondendo soprattutto lo stato delle acque superficiali (come fiumi, torrenti, laghi, canali, acque di transizione come foci dei fiumi e acque costiere) nelle aree in prossimità di insediamenti industriali.

I punti di prelievo sono stati in tutto 46 localizzati in quasi tutte le province. La maggior parte delle analisi concerne (solo) i Pfas, altre comprendono anche i metalli pesanti (23 caratterizzazioni di metalli pesanti) e alcune sono limitate (solo) a questi ultimi. [La mappa Toscana Pfas e Metalli pesanti è consultabile qui].

Riguardo i metalli pesanti, le analisi indipendenti delle associazioni dimostrano ad esempio che nel Fosso dei Noni a Massa Marittima, Grosseto, vicino all’area mineraria, sono presenti in misura fuori norma per lo scarico in acque superficiali: alluminio in 23424,53 µg/L (limite consentito 1000 µg/L), cadmio 941,5 µg/L (limite consentito 20 µg/L), piombo 262,29 µg/L (limite consentito 200 µg/L), rame 81672,56 µg/L (limite consentito 100 µg/L), selenio 176,29 µg/L (limite consentito 30 µg/L), zinco 609256,02 µg/L (limite consentito 500 µg/L).

Riguardo i PFAS, (36 campioni) le analisi hanno ricercato 58 molecole a fronte delle tre riportate nel rapporto ARPAT (PFOA, PFOS, PFBS) in tutte le province toscane indagate. Per brevità, commentiamo solo il parametro “Somma PFAS” della direttiva europea sulle acque potabili che entrerà in vigore a Gennaio 2026. Tale limite sarà 100 ng/L. Una normativa sullo scarico in acqua di superficie non esiste ancora ma non per questo si deve consentire di inquinare in maniera indiscriminata.

Nelle acque potabili toscane prelevate ai fontanelli o in civili abitazioni la presenza di Pfas ha avuto andamenti diversificati: in certi casi è stata riscontrata la presenza di queste sostanze in quantità tutt’altro che trascurabile (Prato e Carrara) sebbene nei limiti di legge. Pfas sono stati trovati anche in una bottiglia di acqua minerale di pregio della regione così come nei pozzi privati.

Per quanto concerne le acque superficiali, nella provincia di Firenze, a valle dell’attività di stoccaggio rifiuti Molin Nuovo Empoli sono stati registrati valori di 116,8 ng/L mentre presso il deposito ENI di Calenzano sono stati trovati 2775,8 e 612,5 ng/L. A Livorno, un canale scolmatore vicino via Aurelia presentava 794,4 ng/L e in acqua superficiale vicino a del terreno di riporto a Collesalvetti si sono registrati 100,9 ng/L. A Pistoia, a valle della discarica Cassero abbiamo trovato 2118,2 ng/L mentre ad Arezzo si sono registrati 7327,2 ng/L vicino la discarica Podere Rota nel borro di Riofi. Una situazione tutt’altro che tranquillizzante.

In un articolo comparso nei giorni scorsi sul Corriere Fiorentino a firma di Vincenzo Brunelli, viene riportata una dichiarazione dell’Arpat (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale Toscana): I parametri critici per i nostri corsi d’acqua, che determinano lo scadimento dello stato chimico, sono: Pfos, mercurio nichel, benzo-pirene, cadmio. Da attenzionare anche arsenico e cromo totale. Le criticità sono distribuite quasi uniformemente nelle stazioni di monitoraggio di valle”. Dall’interpretazione dei risultati – prosegue il giornalista – si può dare una prima risposta alle preoccupazioni di ARPAT che dice Non spetta ad Arpat effettuare indagini che solo la magistratura può fare per capire chi continua a immettere nell’ambiente tali sostanze pericolose”. 

“ARPAT – dichiara Patrizia Pretto, biologa ambientale di cui si avvale la Rete – nel suo ultimo monitoraggio ambientale su corpi idrici per il triennio 2022-2024 testimonia che solo il 65% delle acque campionate può essere considerato di qualità buona, a fronte dell’86% del triennio precedente. Quindi un rapido aumento di sostanze tossiche nell’acqua è ben visibile”.

Le Regioni stabiliscano subito valori limite alle emissioni in acque superficiali

Le associazioni ed i comitati della Rete Zero Pfas Italia sono ora impegnate a sollecitare le Regioni affinchè pongano limiti di sicurezza per le emissioni nelle acque superficiali. Poiché l’articolo 101, comma 2, del Dlgs 152/2006, permette alle Regioni che non hanno ancora provveduto, di stabilire valori-limite di emissione diversi da quelli dell’allegato 5 alla Parte III. L’obiettivo è quello di proteggere le acque dai PFAS in attesa di una normativa nazionale sulla questione (il Ddl 2392 è in discussione dal 2022). La Regione Piemonte, ad esempio, ha già previsto un limite con la L.R. 25/2021 – Deliberazione della Giunta Regionale 60-5220/2022. La norma si applica a tutti i tipi di scarico in acque superficiali, sia pubblici che privati. Per gli scarichi che confluiscano in reti fognarie, l’Ente di governo dell’Ambito territoriale ottimale e i gestori degli impianti di depurazione delle acque reflue urbane devono adottare norme tecniche, regolamentari e valori limite ritenuti più appropriati per rispettare i valori limite nelle acque superficiali.

Il punto di vista della Rete Zero Pfas Italia sui “limiti tabellari di legge”

Abbiamo infine chiesto – dichiarano i membri della Rete – alla Dott.ssa Patrizia Pretto una valutazione circa i limiti tabellari di legge: “Questi rappresentano una concessione ad inquinare l’acqua entro una soglia di sicurezza sulla base di lunghi e costosi studi scientifici. Non è però un obbligo per il cittadino accettare sostanze tossiche che non dovrebbero essere minimamente presenti nell’acqua, cibo, aria e che sono immesse nell’ecosistema da attività industriali irriguardose della salute di tutti. Ci teniamo a ribadire che la popolazione ha scoperto solo negli ultimi anni di essere a contatto con una nuova classe (i Pfas) di sostanze cancerogene e potenzialmente cancerogene, la cui azione va a sommarsi ad altri inquinanti di cui invece si conosceva già la presenza”. La Rete non può che essere d’accordo.